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La tutela dei diritti fondamentali nell’ambito dell’emergenza COVID-19

ProductDiritto24|26 marzo 2020|di Grazia Ofelia Cesaro, avvocato del Foro di Milano, Presidente Unione Nazionale Camere Minorili


La ricerca di un giusto equilibrio tra la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo e il perseguimento di esigenze collettive è un tema che costantemente gli operatori giuridici si trovano da affrontare. Il “bilanciamento” si è detto, è connaturato alla stessa natura dei diritti umani, i quali entrano costantemente in contrasto la loro e con interessi di ordine generale (1). Mai come in questo periodo, tuttavia, la drammaticità di tale contrasto si è manifestata in modo tanto evidente, e soprattutto incisivo sulla vita della persone.

L’emergenza sanitaria e le misure necessarie a contenere la diffusione del nuovo coronavirus (comunemente noto come COVID-19) hanno, di fatto, stravolto la vita di 60 milioni di persone. Come è noto, con l’adozione del Decreto Legge n. 6 del 26 febbraio 2020, il Governo italiano ha delegato al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di adottare “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica“. Il D.L. è stato convertito dal Parlamento con la Legge 5 marzo 2020, n. 13. Proprio in quei giorni, peraltro, si rendeva ormai chiaro che non era possibile contenere il virus nelle cd. Zone Rosse. Dopo il tentativo di estendere alla Lombardia e ad una serie di Province l’applicazione delle misure restrittive, a partire dall’entrata in vigore del DPCM 9 marzo 2020 queste ultime trovano applicazione sull’intero territorio nazionale.

Senza entrare nel merito di ogni singola misura, è qui sufficiente considerare che esse incidono, più o meno pesantemente, sul godimento di una serie di diritti costituzionalmente garantiti quali, in particolare, la libertà personale (art. 13), la libertà di movimento (art. 16 Cost.) e di riunione (art. 17 Cost.), la libertà di professare la propria religione in forma associata (art. 19 Cost.) i diritti dell’individuo nell’ambito della famiglia (artt. 31 e 32 Cost.), il diritto alla scuola e all’istruzione (art. 34 Cost.), la libertà di impresa (art. 41 Cost.). Dal 9 marzo, quindi, le misure si applicano in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, salve misure più restrittive disposte mediante Ordinanze dei Presidenti di alcune Regione, e rispetto alle quale si discute tanto sulla legittimità, quanto sul rapporto con i vari DPCM che regolano le medesime materie.

In ogni caso, originariamente meno stringenti, alcune delle misure arrivano quasi a comprimere totalmente i diritti ora menzionati: si pensi alla libertà di movimento, essendo gli spostamenti consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, di estrema urgenza ovvero per motivi di salute (2).

A loro volta, le limitazioni alla libertà di movimento possono incidere su altri diritti costituzionalmente garantiti. Un esempio emblematico, al riguardo, è il diritto alla vita familiare: il DPCM 23 marzo 2020 ha eliminato l’eccezione che consentiva di fare rientro, qualora ci si trovasse al di fuori, presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, di fatto costringendo, chi per qualsiasi ragione si trovi, ormai, lontano dalla propria famiglia, a restarci per tutta la durata dell’emergenza. Ancora più complessa, poi, è la situazione per quanto riguarda i minori figli di coppie separate: costituisce il diritto (e obbligo) di dare attuazioni ai provvedimenti giurisdizionali in materia di separazione e divorzio, causa di necessità (o assoluta urgenza) ai sensi dei provvedimenti del Governo? (3) .

Questi ed altri esempi potrebbero farsi, con la conseguenza che viene da chiudersi: fino a che punto lo Stato è legittimato a limitare i diritti degli individui, pur per il (legittimo) perseguimento di una finalità di interesse generale, quale la tutela della salute pubblica? E soprattutto, ove si trova il fondamento normativo di tale potere?

Al riguardo, bisogna innanzitutto osservare che la nostra Carta costituzionale non contiene, per motivi storici ben precisi, una disposizione relativa alla dichiarazione dello “stato di emergenza”. Vi era il rischio, infatti, che quest’ultimo venisse strumentalizzato per il sovvertimento dell’ordine costituzionale, di fatto fornendo una base giuridica per l’eventuale ripetersi delle vicende che avevano portato al fascismo (4). La situazione attuale, però, sembra rispecchiare proprio una situazione del genere: accertamento del potere, implicante anche limitazioni dei diritti fondamentali degli individui, in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri, per fronteggiare una situazione dal carattere assolutamente eccezionale. Peraltro, in realtà l’Italia ha dichiarato lo stato di emergenza per un periodo di sei mesi. Ciò è avvenuto il 31 gennaio 2020, mediante una delibera del Consiglio dei Ministri (5) ai sensi dell’art. 24, comma 1, del Codice della protezione civile (6), in virtù dell’accertamento della situazione di cui all’art. 7, comma 1, lett. c) del medesimo testo, che si riferisce a “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza di intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24”. Tale “stato di emergenza”, tuttavia, non disciplina se e fino a che limite l’esigenza di far fronte alla situazione emergenziale legittimi la limitazione dei diritti fondamentali.

Peraltro, la delibera è stata adottata immediatamente dopo la qualificazione, da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), della diffusione del COVID-19 come “public health emergency of international concern” (7), avvenuta il 30 gennaio 2020. Come è noto, il 9 marzo 2020 l’OMS ha infine qualificato come “pandemia” la situazione emergenziale in atto (8). Tuttavia, oltre a sottolineare il rilievo internazionale dell’emergenza, la rapida diffusione del virus e la necessità di misure coordinate da parte dell’intera comunità internazionale, ancora nulla deriva dalle dichiarazioni dell’OMS sul rapporto tra misure di contenimento e diritti fondamentali degli individui.

In mancanza di indicazioni nella legislazione nazionale e nella Costituzione, è necessario far riferimento alle norme di diritto internazionale in materia. Delle chiare indicazioni, infatti, possono desumersi dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) e delle libertà fondamentali del 1950, entrata in vigore nel 1951 e ratificata dall’Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848. Particolare rilievo deve essere dato a tale strumento, che nel nostro ordinamento acquisisce, in virtù dell’art. 117 Cost., il rango di “norma interposta” tra la Costituzione e la legge ordinaria, nell’ambito della situazione emergenziale che stiamo affrontando. Inoltre, esso deve essere adeguatamente tenuto in considerazione poiché, laddove l’Italia, nel fronteggiare l’emergenza, dovesse violare la Convenzione, si esporrebbe poi al rischio di condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU).

Innanzitutto, molte delle disposizioni della Convenzione prevedono la possibilità di limitare i diritti in esse garantiti qualora ciò sia necessario in una società democratica per il perseguimento di finalità di interesse generale, tra cui, in particolare, la sicurezza nazionale, il benessere economico del Paese, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, la protezione dei diritti e delle libertà altri. Previsioni in tal senso, definite clausole di limitazione, sono contenute negli articoli da 8 a 11, che tutelano, rispettivamente, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, la libertà di pensiero, coscienza e religione, la libertà di espressione e la libertà di riunione e di associazione, nonché nell’art. 2 Prot. 4, in materia di libertà di circolazione. Ai sensi di tali clausole, la limitazione dei diritti è ammissibile a condizione che: (a) sia prevista per legge; (b) sia imposta nel perseguimento di uno degli scopi legittimi sopra indicati; (c) sia necessaria in una società democratica per il perseguimento di detti scopi, nel senso che deve sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra la misura imposta, che deve in ogni caso essere la meno lesiva del diritto tra quelle astrattamente possibili, e lo scopo perseguito. Tuttavia, tali clausole si fondano su un ragionamento del caso concreto: nella situazione specifica sono le autorità nazionali (legislative, amministrative e giudiziarie) che devono realizzare questa opera di bilanciamento. Esse non sono, tuttavia, pensate per situazioni in cui la compressione dei diritti sia massiccia e generalizzata.

In tali situazioni è un’altra norma della Convenzione a venire in rilievo, ovvero l’art. 15, che disciplina espressamente le deroghe alla CEDU in caso di emergenza.

Esso dispone che:

1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richiede e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.
2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4, par. 1 e 7.
3. Ogni Alta Parte contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione”.

È all’articolo 15, dunque, che bisogna fare riferimento per comprendere la situazione che stiamo affrontando. Esso riconosce agli Stati un diritto di deroga che può essere esercitato laddove sussista una situazione di emergenza che minacci la vita della Nazione, stabilendo al contempo i limiti che, anche in tali situazioni, devono essere rispettati dallo Stato. Affinché la deroga sia valida è poi necessario che le misure adottate siano proporzionate. Pur non essendo espressamente previsto, sul rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 15 vigila la Corte EDU, la quale solitamente, però, non si spinge fino a questionare la sussistenza della situazione emergenziale (valutazione che è rimessa al margine di apprezzamento degli Stati) ma, piuttosto, verifica che le misure non eccedano i (pochi) limiti imposti dalla norma.

L’emergenza da COVID-19 può ritenersi costituisce una minaccia per la vita della Nazione, essendo stato accertato che potenzialmente tutti sono esporti al virus, pur essendo lo stesso più (ma non esclusivamente) letale nei confronti di persone affette da patologie preesistenti o di età superiore ai 60/65 anni. Quanto alla proporzionalità delle misure, pur essendo particolarmente restrittive, occorre considerare che il requisito va valutato in relazione alla gravità della situazione e alle modalità che si richiedono per affrontarla. Posto che il virus si trasmette con estrema facilità, il divieto totale di assembramento, la chiusura di tutti i luoghi di aggregazione, la limitazione allo stretto indispensabile dei contatti umani e degli spostamenti, sembrano le uniche risposte possibili. Tra gli elementi della proporzionalità rientra anche il requisito delle durata delle misure: esse non possono essere imposte a tempo indeterminato, ma in caso la Corte ha ritenuto che, laddove ancora giustificate, anche misure di più anni sono ammissibili (9). L’eventuale proroga delle misure attualmente in vigore, quindi, non inciderebbe su questo aspetto.

Anche le condizioni stabilite dall’art. 15, par. 3, che prevede dei diritti inderogabili anche in situazioni di emergenza, sono rispettate dall’Italia. Le norme che non possono essere derogate, infatti, sono l’art. 2 (diritto alla vita), l’art. 3 (divieto di tortura o trattamenti inumani e degradanti) e l’art. 7 (nulla poena sine lege). Dato che occorre rispettare anche rispettare gli altri obblighi internazionali dell’Italia, sembra ragionevolmente ricomprendervi anche le norme che l’analoga norma del Patto Internazionale sui diritti civili e politici considera inderogabili, e dunque il divieto di imprigionamento a fronte di un inadempimento contrattuale, il diritto alla personalità giuridica, la libertà di pensiero, coscienza e religione. Infine, anche lo jus cogens (norme di diritto internazionale consuetudinario) non può essere derogato: quindi, senza dubbio sarebbe illegittimo violare il divieto di schiavitù (l’altra norma di jus cogens universalmente riconosciuta è il divieto di tortura, la cui derogabilità è tuttavia esclusa espressamente dal patto).

Ciò che l’Italia non ha fatto, e che sarebbe invece auspicabile facesse, è procedere a comunicare la deroga mediante una notificazione al Segretario Generale del Consiglio d’Europa. In assenza dell’adempimento di tale obbligo procedurale, infatti, è dubbio che la deroga possa avere effetto, con la conseguenza che l’Italia si troverebbe esposta al rischio di essere ritenuta responsabile per le limitazioni dei diritti imposte ai soggetti sottoposti alla propria giurisdizione.
I presupposti per esercitare il diritto di deroga, infatti, non sembrano discutibili, e ciò è dimostrato dal fatto che altri Stati hanno già provveduto in tal senso (Lettonia, Romania, Armenia, Moldavia, Estonia e Georgia). Nel caso di notificazioni tardive, infatti, la Corte potrebbe escludere la legittimità della deroga, come affermato nell’unico caso in cui uno Stato è stato ritenuto responsabile per le limitazioni dei diritti derivanti da misure (asseritamente) adottate in deroga alla Convenzione (10).
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(1) M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, 13-14 ottobre 1994.
(2) Il DPCM 23 marzo 2020 elimina, infatti, le situazioni di necessità tra le eccezioni al divieto di spostamenti, ma esclusivamente per quanto riguarda i movimenti da un Comune all’altro. Per quanto concerne i movimenti all’interno dello stesso comune, invece, e come specificato dalla Circolare interpretativa del Ministero dell’Interno del 24 marzo 2020, continua ad applicarsi il DPCM 8 marzo 2020, il quale prevede le situazioni di necessità come motivo legittimo degli spostamenti. Tuttavia, si ritiene che ormai le situazioni di necessità siano oggetto di interpretazione restrittiva, essendo consentiti in ogni caso spostamenti brevi, assolutamente necessari.
(3) Si veda A. Simeone, Covid e diritto di visita dopo il d.P.C.M. 22 marzo 2020: cosa succede?, 23 marzo 2020, IlFamiliarista, ove si sostiene che, in tali casi, occorre considerare che le visite sono funzionali, anche e soprattutto, alla tutelare il benessere psicofisico dei minori, e che, dunque, occorre evitare di applicare rigidamente i decreti, escludendo di fatto la possibilità di mantenere le visite e le frequentazioni. In ogni caso, però, sostiene giustamente Simeone, saranno le circostanze di ogni caso concreto a rilevare.
(4) C. Blengino, Emergenze e diritti costituzionali, 19 marzo 2020, IlPost, disponibile online su: https://www.ilpost.it/carloblengino/2020/03/19/emergenze-e-diritti-fondamentali/
(5) Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, in GU Serie Generale n. 26 del 1.02.2020.
(6) D. lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, in GU Serie Generale n. 17 del 22 gennaio 2018, entrato in vigore il 6 febbraio 2018, art. 24, comma 1: “Al verificarsi degli eventi che, a seguito di una valutazione speditiva svolta dal Dipartimento della protezione civile sulla base dei dati e delle informazioni disponibili in e in raccordo con le Regioni e Province autonome interessate, presentano i requisiti di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c), ovvero nella loro imminenza, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata e comunque acquisitane l’intesa, delibera lo stato di emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualità degli eventi e autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’articolo 25. La delibera individua, secondo criteri omogenei definiti nella direttiva di cui al comma 7, le prime risorse finanziarie da destinare all’avvio delle attività di soccorso e assistenza alla popolazione e degli interventi più urgenti di cui all’articolo 25, comma 2, lettere a) e b), nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi fabbisogni e autorizza la spesa nell’ambito del Fondo per le emergenze nazionali di cui all’articolo 44”.
(7) Organizzazione Mondiale della Sanità, Statement on the second meeting of the International Health Organization (2005) Emergency Committee regarding the outbreak of novel coronavirus (2019-nCoV) 20 gennaio 2020: https://www.who.int/news-room/detail/30-01-2020-statement-on-the-second-meeting-of-the-international-health-regulations-(2005)-emergency-committee-regarding-the-outbreak-of-novel-coronavirus-(2019-ncov).
(8) Organizzazione Mondiale della Sanità, WHO Director-General’s opening remarks at the media briefing on COVID-19, 11 marzo 2020: https://www.who.int/dg/speeches/detail/who-director-general-s-opening-remarks-at-the-media-briefing-on-covid-19—11-march-2020.
(9) Corte europea dei diritti dell’uomo, A. e altri c. Regno Unito, par. 178.
(10) Commissione europea dei diritti dell’uomo, Danimarca, Norvegia, Svezia e Olanda c. Grecia (cd. Greek case), par. 133-134.

LEGGE E PRASSI | Legge nazionale

Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana del 25 marzo 2020, n. 79

Decreto legge|25 marzo 2020| n. 19

Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. [Decreto chiudi Italia]

Preambolo

Testo in vigore dal 26 marzo 2020

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This article was written by codiciumbria

La Storia "CODICI" Centro per i Diritti delCittadino, è un'Associazione di cittadini impegnata ad affermare, promuovere e tutelare i diritti dei cittadini con particolare riferimento alle persone più indifese ed emarginate. Nasce 1987 come CO.DI.CI. e si afferma nel 1993 come coordinamento di associazioni per la tutela dei diritti del cittadino, nel 1998 scioglie la sua struttura confederativa e si trasforma nell' Associazione CODICI centro per i diritti del cittadino, quale associazione impegnata ad affermare i diritti dei cittadini consumatori, senza distinzione di classe, sesso, credenza religiosa e appartenenza politica. Un'attività presente in modo capillare sull'intero territorio nazionale. l'Associazione, infatti, con le sue sedi regionali e provinciali, si caratterizza per il contatto diretto che cerca di creare con i cittadini, al fine di cogliere le reali necessità ed offrire soluzioni concrete. CODICI è: Organizzazione non lucrativa di utilità sociale, ONLUS, il cui scopo è quello di intraprendere ogni attività culturale, politica e giuridica tesa alla promozione, all'attuazione e alla tutela dei diritti del cittadino Associazione Nazionale di Promozione Sociale, riconosciuta presso il Ministero del Welfare, e intraprende tutte quelle azioni che favoriscano l'affermazione di una società democratica e solidale, per la diffusione della cultura, della legalità e del diritto alla cittadinanza. Associazione Nazionale di Consumatori ed Utenti, riconosciuta presso il Ministero delle Attività Produttive; promuove e favorisce una politica di tutela e di informazione in favore dei consumatori. Associazione nazionale antiusura e antiracket, riconosciuta dal Ministero dell'Interno e si prodiga nell'assistenza e solidarietà ai soggetti danneggiati da attività estorsive e dall'usura. GLI STRUMENTI Il CODICI si avvale di variegati strumenti per offrire un servizio utile ai cittadini: lo sportello, presente in tutte le sedi, cui i cittadini possono rivolgersi per segnalare violazioni di diritti, ricevendo un'informazione diretta da parte di operatori specializzati; l'ufficio legale, cui afferiscono i cittadini che hanno subito vessazioni e ingiustizie da parte delle istituzioni pubbliche o private, ricevendo tutela giudiziaria e stragiudiziale; i gruppi territoriali, persone che si confrontano periodicamente sulle problematiche locali ed elaborano azioni di tutela per i cittadini; il Centro Studi, formato da personale qualificato che attraverso dei gruppi di lavoro permanenti analizza ed elabora strategie di intervento in risposta a diversi fenomeni di disagio sociale; l'ufficio stampa organizza conferenze, convegni, e, attraverso una costante attività di monitoraggio e redazione, interagisce con gli organi di informazione e stampa. 

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